Trovo energia nell’ibridazione, in quei campi che sono misti, nell’incontro con la diversità, per me molto fertile. Lo sguardo di chi vede in maniera diversa da me è qualcosa che mi arricchisce.
Se ti dico Incompiuto qual è la prima cosa che ti viene in mente?
Due cose: la prima riguarda un lavoro molto bello dal titolo “Incompiuto siciliano”, un progetto fotografico di un gruppo di architetti e artisti visuali con uno sguardo artistico su un tema architettonico, durato per diversi anni e ancora aperto nella sua incompiutezza. In Sicilia ci sono architetture non finite che sono il vero stile italiano contemporaneo: dietro al incompiuto c’è tanto abusivismo e talvolta relazioni illecite, è quindi un’interpretazione estetica ma critica della realtà. La seconda che mi viene in mente, è l’idea di un’apertura, di qualcosa non chiuso, impacchettato, finito, definito; forse il concetto che più aiuta a spiegarmi, è un invito all’opera, un invito ad agire, qualcosa che può accogliere l’intervento di qualcun altro. Anche per cercare di minare un po’ il concetto di autorialità, l’idea quindi di un’opera che sia collettiva, in cui tramonta il protagonista ed emerge lo sfondo.. quindi per me l’incompiuto può essere un invito ad un’opera d’arte collettiva o ancora meglio ad una presa di parola collettiva, concetto che tiene dentro diversi linguaggi.
Unfinished di che colore/forma è?
Forse ti direi un cerchio, anzi più che il cerchio, la figura enso, un cerchio che nella cultura giapponese è aperto. Viene dal buddismo zen questa parola. Il cerchio rappresenta la modalità dello scambio orizzontale delle persone, l’assenza di gerarchia, una collettività istituente, mi interessa questa figura perché non è chiusa e lascia aperta possibilità di trasformazione.
Come colore ti direi: tutti i colori.
C’è qualcosa che hai lasciato incompiuto nella tua vita?
Diciamo che potresti girare la domanda in: “sei riuscita a chiudere qualcosa?” Credo di aver lasciato incompiuto quasi tutto. Io do all’incompiuto un’accezione positiva, vedo la possibilità di trasformarsi, quindi di non concludere nulla.
Mi spiego meglio, per me anche chiudere ha un valore, perché significa dare una forma, una forma però che può essere ancora soggetta a trasformazione. Negli ultimi anni sto facendo più attenzione, inizio un progetto chiedendomi: “che forma ha?”, proprio perché parto da tanti anni di esplorazione senza meta dove l’importante era l’esplorazione in sé.
Quali sono le emozioni dell’incompiuto?
Una grandissima fascinazione, ma la mia parte razionale cerca di contenerla. Io, infatti apro mille porte, finestre, strade, inizio percorsi poi tanti non diventano niente. Tutto questo è molto fertile, un campo fertile di sperimentazione importantissimo.
Quale è il tuo rapporto con le cose incompiute?
Credo molto nell’idea di percorso, nella pratica di percorso, quindi non importa dove si arriva, ma la strada che si fa, quello che succede in quella strada. Ad un certo punto uno può anche deviare, quello che succede in quel momento ha il suo valore, quella cosa può prendere un’altra strada ma si porta dietro l’esperienza da cui proviene.
Cos’è un fertilizzante per te?
Trovo energia nell’ibridazione, in quei campi che sono misti, nell’incontro con la diversità, per me molto fertile. Lo sguardo di chi vede in maniera diversa da me è qualcosa che mi arricchisce.
3 parole che abbineresti ad incompiuto?
Apertura, invito, collettività.