Nel 2006 ho pubblicato con Fandango “Le scimmie sono inavvertitamente uscite dalla gabbia”, un libro in versi precedentemente apparso in puntate su Nazione Indiana. Poi nella mia testa è diventato il primo di tre libri i cui tre titoli dovevano comporre una frase unica. Ho iniziato a scrivere il secondo intitolato “… e si dileguano lungo i camminamenti sulle mura dell’antica città di Xi’an che sfumano nella nebbia…”. Il terzo titolo, che ancora non so, dovrà completare la frase. Mentre il primo libro mi è uscito di getto, la seconda parte l’ho cominciata, ma non mi convince, mi tormenta. La riprendo in mano molto discontinuamente, quando mi devo sfogare, per me questo testo è come un punching ball – come il materasso in cantina contro cui tiri pugni quando sei incazzato – senza struttura, senza tempi, senza fini, l’unica cosa è cercare di far fluire le cose, anche le più distanti, come in un flusso, un po’ come quando vai in treno… io apro il file e scrivo.
Mi piacerebbe terminare la trilogia, dopo il compimento di altri lavori. Per me questo libro è come fosse “le vacanze”, non voglio pensare a nulla, non c’è trama, solo materiale grezzo… un controbilanciamento alla struttura, una zona di libertà..