Unfinished Museum

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Laura Bianchi

Potrei dire viva l’incompiutezza perché mi ha insegnato ad accettare i miei limiti.

 

Se ti dico Incompiuto qual è la prima cosa che ti viene in mente?

L’incompiuto dell’ultima fase della mia carriera professionale: non aver potuto proseguire con la qualità a cui tenevo e l’ho interrotta. 

Sarei dovuta andare a lavorare a Cremona o Milano dove c’erano realtà che mi potevano supportare, ma avevo una situazione famigliare instabile e ho sperato di poter realizzare qui i miei progetti. Mi sono ritrovata a 55 anni con tanta energia canalizzata solo su attività che non mi gratificavano del tutto e ho deciso di mettere fine alla mia carriera pur di non tornare indietro a livello qualitativo. In Italia, la musicoterapia, a differenza dei paesi nordici, è ancora una disciplina innovativa, poco conosciuta e poco stimata. 

L’insegnamento è stato un percorso compiuto con un inizio ed una fine, nella musicoterapia ero arrivata ad avere grosse soddisfazioni sul territorio, ero direttrice per la formazione per il corso dei musicoterapeuti della Regione Liguria, fino al 2013. Sarebbe dovuto proseguire ma non hanno più avuto finanziamenti e tutto si è interrotto.

Unfinished di che colore/forma è?

Probabilmente una forma dai tratti arrotondati e indefiniti e un colore tra il bluette e il blu scuro.

C’è qualcosa che hai lasciato incompiuto nella tua vita?

Una cosa che considero incompiuta, ma che mi lascia vedere spiragli, è la ristrutturazione della casa e del giardino antico di famiglia sulla collina di La Spezia. Invece per quanto riguarda la mia carriera, a quasi 62 anni, non ho molte aspettative, anche se ho fatto ancora qualche progetto, più per aiutare una collega che per me stessa.

Emozioni?

All’inizio c’è l’incazzatura, poi segue uno scatto di energia che mi porta a buttarmi su altre cose. L’idea di affittare delle camere ai turisti mi ha portata in una dimensione totalmente diversa. Avevo cominciato nel 2009 quando ancora impegnata come musicoterapeuta, lo facevo solo d’estate come hobby e piacere, poi si è trasformato in una rendita. 

Viva l’incompiutezza perché..

Dire “viva”, non riesco. Posso trovare un aspetto positivo: l’incompiutezza ti costringe ad accettare i tuoi limiti e ti porta a fare un grosso lavoro su te stesso.

L’incompiuto porta frustrazione, se imapri ad accettarlo vivi meglio, fai pace con te stessa.

Ecco, potrei dire viva l’incompiutezza perché mi ha insegnato ad accettare i miei limiti.

Quand’è che un progetto per te è compiuto?

Il fatto che sia incompiuto o compiuto parte da un tuo sentire interiore. Per quella che è la mia natura, ho sempre seguito le mie passioni, ho sempre lavorato in campo creativo e cercato di fare le cose senza dei termini prefissati. I progetti si evolvevano e potevano crescere aggiungendo attività, cambiando metodi, contorno, ma non ho mai ritenuto di porre un limite, il limite arriva dal confronto con realtà esterna che contrasta  il tuo moto interiore. Il progetto è compiuto quando senti che la motivazione che ti portava ad investire gran parte delle tue energie in quella cosa, a combattere per quel risultato, viene meno. Senti che non è più cosa, non vale più la pena investire le tue energie, sei tu stessa per prima a non crederci e non puoi quindi convincere gli altri.

3 parole che abbineresti ad incompiuto?

Frustrazione, limite, scoperta.

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